lunedì 31 marzo 2008

Arthur Schopenhauer


Biografia

Figlio di un ricco mercante, Heinrich Floris, e di una scrittrice, Johanna Henriette Trosiener, nel 1805, alla morte del padre, si stabilì a Weimar con la madre. Qui conobbe Christoph Martin Wieland e Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Contrario ad ogni mondanità, si ritirò in solitudine per portare a termine gli studi. Nel 1809 s'iscrisse alla facoltà di medicina a Gottinga. Due anni dopo, nel 1811, si trasferì a Berlino per frequentare i corsi di filosofia. Ingegno molteplice, sempre interessato ai più diversi aspetti del sapere umano (frequentò corsi di fisica, matematica, chimica, magnetismo, anatomia, fisiologia, e tanti altri ancora), nel 1813 si laureò a Jena con una tesi Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente e, nel 1818, pubblicò la sua opera più importante, Il mondo come volontà e rappresentazione che ebbe tuttavia scarsissimo successo tra i suoi contemporanei. Anche le successive edizioni del trattato furono accolte assai sottotono, nonostante fossero giunti, da più parti, persino riconoscimenti ufficiali, primo fra tutti la vittoria di un concorso indetto dalla Società delle Scienze norvegese, che egli conseguì nel 1839 con un trattato Sulla libertà del volere umano.

Dopo aver girato in lungo ed in largo l'Europa, e dopo una breve parentesi da libero docente universitario a Berlino (1820), dal 1833 decise di fermarsi a Francoforte sul Meno dove visse da solitario borghese, celibe, misogino. La vera affermazione del pensatore si ebbe solo a partire dal 1851, data della pubblicazione del volume Parerga e paralipomena, inizialmente pensato come un completamento della trattazione più complessa del Mondo, ma che venne accolto come un'opera a sé stante, uno scritto forse più facile per stile e approccio e che, come rovescio della medaglia, ebbe quello di far conoscere al grande pubblico anche le opere precedenti del filosofo. Fondamentalmente in pieno accordo con i dettami della sua filosofia, manifestò un sempre più acuto disagio nei confronti dei contatti umani (ciò che gli procurò, in città, la fama di irriducibile misantropo) e uno scarso interesse, almeno in via ufficiale, per le vicende politiche dell'epoca quali furono, ad esempio, i moti rivoluzionari del 1848); i tardi riconoscimenti di critica e pubblico servirono, suppositivamente, ad attenuare i tratti più intransigenti del carattere del filosofo, ciò che gli procurò negli ultimi anni della sua esistenza una ristretta ma interessata e fedelissima cerchia di (come egli stesso amò definirli) devoti "apostoli", tra cui il compositore Wagner. Morì di pleurite, nel 1860

Influenze

Nella sua filosofia, Schopenhauer fu senz'altro influenzato da vari autori:

  • Platone: nella teoria delle "idee", forme eterne dell'Iperuranio
  • Kant: Schopenhauer riprende i termini del problema kantiano del rapporto fra le cose come ci appaiono (fenomeno) e le cose in sé (noumeno). Il fenomeno, ovvero le cose come ci appaiono che elaborate dalle forme a priori di spazio e tempo e dalla categoria di causalità (Kant ne aveva identificate 12 invece) da vita alla scienza è oggettivo ma non vero, perché offuscato dal 'velo di Maya, ovvero un velo che impedisce ai sensi di percepire la realtà. Le cose in sé, il noumeno è, a differenza di quanto diceva Kant, conoscibile, e consiste nella volontà di vivere, presente in ogni cosa dell'universo.
  • Illuministi: Schopenhauer analizza il mondo da un punto di vista fisiologico, è critico e rifiuta l'Idealismo. In particolare riprende da Voltaire l'atteggiamento ironico e demistificatore nei confronti di religioni, credenze popolari e superstizioni.
  • Romanticismo: riprende alcuni temi: l'irrazionalismo, il dolore, l'importanza (catartica) dell'arte e della musica. Richard Wagner, in particolare, modificò la sua concezione dopo aver letto Il mondo come volontà e rappresentazione, specie nel testo della Tetralogia (la cessazione della volontà di vivere che accompagna il personaggio di Wotan) e nel Tristano e Isotta. Nel Tristano, però, a torto si esagerò l'influenza del filosofo sul musicista.
  • Spiritualità indiana: Schopenhauer la conosce attraverso Frederich Mayer; ammira molto la sapienza orientale, tanto da metterne il sapore nelle proprie opere: molte espressioni e immagini fanno parte del repertorio indiano. Allo stesso modo, il Parsifal di Wagner ne ricalca la medesima concezione.
  • Riprende la teoria del Nirvana, che è un mondo dove l'uomo non desidera, che si raggiunge attraverso 3 momenti:
    • giustizia, che ci porta a considerare la volontà di vivere come un'istanza collettiva e non individuale;
    • compassione, che ci porta a superare l'eros per amare il prossimo condividendone il dolore, simile appunto al nostro;
    • ascesi, che è uno stato di castità che ci serve per annullare il desiderio e raggiungere così il nirvana.

Temi principali

Mondo della rappresentazione come "Velo di Maya"

Il punto di partenza della filosofia di Schopenhauer è la distinzione tra fenomeno e cosa in sé. Per fenomeno egli intende la parvenza, l'illusione, il sogno, il cosiddetto "velo di Maya"; mentre per noumeno egli intende una realtà che si nasconde dietro l'ingannevole trama del fenomeno, e che il filosofo ha il compito di scoprire. Il fenomeno di cui parla Schopenhauer è una rappresentazione che esiste solo dentro la coscienza, "il mondo è la mia rappresentazione". La rappresentazione ha due aspetti essenziali: il soggetto rappresentante e l'oggetto rappresentato. Soggetto e oggetto esistono soltanto all'interno della rappresentazione. Non ci può essere soggetto senza oggetto. Anche Schopenhauer ammette l'esistenza di forme a priori nella nostra mente, ma a differenza di Kant (per quest'ultimo sono 12), egli ne ammette solo tre, ovvero spazio, tempo e causalità. Quest'ultima è l'unica categoria in quanto tutte le altre sono riconducibili ad essa. La causalità assume forme diverse a seconda degli ambiti in cui opera, manifestandosi come necessità fisica, logica, matematica e morale, ovvero come principio del divenire, del conoscere, dell'essere e dell'agire. Schopenhauer paragona le forme a priori a dei vetri sfaccettati attraverso cui la visione delle cose si deforma, egli considera la rappresentazione come una fantasmagoria ingannevole, traendo la conclusione che la vita è sogno, cioè un tessuto di apparenze o una sorta di incantesimo, che fa di essa qualcosa di simile agli stati onirici. Ma al di là del sogno esiste la realtà vera, sulla quale l'uomo, o meglio il filosofo che è nell'uomo, non può fare a meno di interrogarsi. Infatti sostiene Schopenhauer che l'uomo è un animale metafisico, che è portato a stupirsi della propria esistenza e a interrogarsi sull'essenza ultima della vita.


Caratteri e manifestazioni della volontà

La volontà presenta caratteri contrapposti a quelli del mondo della rappresentazione, in quanto si sottrae alle forme a priori di quest'ultimo. La volontà primordiale è inconscia. Di conseguenza, il termine volontà preso in senso metafisico-schopenhaueriano, non si identifica con quello di volontà cosciente, ma con il concetto più generale di energia o di impulso. La volontà è anche eterna e indistruttibile, ossia un Principio senza inizio né fine. La volontà si configura anche come una forza senza una causa ed uno scopo. Infatti noi possiamo cercare la ragione di questa o quella manifestazione fenomenica della volontà, ma non della volontà in se stessa, come chiedere ad un uomo perché voglia questo o quello, ma non perché voglia in generale. "Perché c'è in me una volontà irresistibile che mi spinge a volere". Infatti la volontà primordiale non ha una meta oltre se stessa: la vita vuole la vita, la volontà vuole la volontà, e ogni motivazione o scopo cade entro l'orizzonte del vivere e del volere. Per Schopenhauer miliardi di esseri non vivono che per vivere e continuare a vivere. Questa è la sua triste realtà sul mondo, anche se l'uomo ha cercato di mascherare la sua terribile esistenza postulando un Dio cui sarebbe finalizzata e troverebbe senso la sua vita. Dio per il filosofo non può esistere e l'unico assoluto è la volontà stessa. Schopenhauer ritiene che l'unica e infinita volontà di vivere si manifesti nel mondo fenomenico attraverso due fasi distinguibili: nella prima la volontà si oggettiva in un sistema di forme immutabili, che egli chiama "idee"; nella seconda, la volontà si oggettiva nei vari individui del mondo naturale, che sono la moltiplicazione delle idee.

Il Pessimismo

Dolore, piacere e noia

La vita è dolore per esistenza. Infatti volere significa desiderare, e desiderare significa trovarsi in uno stato di tensione, per la mancanza di qualcosa che non si ha e si vorrebbe avere. Il desiderio risulta quindi, per definizione, assenza, vuoto, indigenza: ossia dolore. Nessun oggetto del volere, poi, una volta conseguito, può dare appagamento durevole bensì rassomiglia soltanto all'elemosina, la quale gettata al mendico prolunga oggi la sua vita per continuare domani il suo tormento. Ciò che gli uomini chiamano godimento fisico e gioia psichica, come sostiene anche Leopardi, è nient'altro che una cessazione di dolore. Mentre il dolore, identificandosi con il desiderio, è uno stato primario e permanente, il piacere è solo una funzione derivata del dolore. Schopenhauer pone come terza situazione di base, accanto al dolore e al piacere, la noia, la quale subentra quando vien meno l'aculeo del desiderio. La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra il dolore e la noia, passando attraverso l'intervallo fugace e illusorio del piacere e della gioia. Quindi il dolore costituisce la legge profonda della vita e ciò che distingue i casi e le situazioni è solo il diverso modo e le diverse forme in cui si presenta.

La sofferenza universale

Tutto soffre. Il dolore investe tutte le creature in quanto la volontà di vivere, ovvero il desiderio si manifesta in tutte le cose. L'uomo soffre di più perché ha più consapevolezza. Per la stessa ragione, il genio, avendo maggiore sensibilità rispetto agli uomini comuni, è votato a una maggior sofferenza: "più intelligenza avrai più soffrirai".

Le vie di liberazione dal dolore

Emerge chiaramente come la vita sia sostanzialmente dolore, al di là delle apparenze ingannevoli. Si potrebbe pensare che il sistema di Schopenhauer metta capo a una filosofia del suicidio universale. Ma invece egli rifiuta il suicidio e lo condanna per due motivi: 1) perché il suicidio, lungi dall'essere negazione della volontà, è invece un atto di forte affermazione della volontà stessa in quanto il suicida vuole la vita ed è solo malcontento delle condizioni che gli sono toccate, egli quindi nega la vita; 2) perché il suicidio sopprime unicamente l'individuo, ossia una manifestazione fenomenica della volontà di vivere, lasciando intatta la cosa in sé, che pur morendo in un individuo rinasce in mille altri, simile al sole che appena tramontato da un lato sorge dall'altro. Quindi per Schopenhauer la vera risposta al dolore non è l'eliminazione, tramite il suicidio, ma nella liberazione dalla stessa volontà di vivere, allorquando la voluntas perviene alla coscienza si sé, essa tende a farsi noluntas, ossia negazione progressiva di se medesima. Dalla presa di coscienza del dolore e dal disinganno di fronte alle illusioni dell'esistenza, nascono le varie tappe della liberazione. Schopenhauer articola l'iter salvifico dell'uomo in tre momenti: l'arte, la morale, l'ascesi.

L'arte

L'arte per il filosofo è conoscenza libera e disinteresse che si rivolge alle idee, ossia alle forme pure o ai modelli eterni delle cose. Il soggetto che contempla le idee ovviamente non è più un individuo naturale, sottoposto alle esigenze pratiche della volontà, ma il puro soggetto del conoscere, il puro occhio del mondo. L'arte risulta catartica per essenza, in quanto l'uomo grazie ad essa, più che vivere contempla la vita elevandosi al di sopra della volontà del dolore e del tempo. Fra le arti spicca la tragedia che è l'autorappresentazione del dramma della vita. Posto a sé occupa invece la musica, in quanto essa non riproduce mimeticamente le idee, ma si pone come immediata rivelazione della volontà a se stessa. Non è comunque il modo di uscire dalla vita, anche se solo un conforto. La via della redenzione è su altri sentieri. L'arte distrae solo momentaneamente.

L'etica della pietà

La morale implica un impegno nel mondo a favore del prossimo. L'etica non sgorga da un imperativo categorico dettato dalla ragione, ma da un sentimento di pietà attraverso cui avvertiamo come nostre le sofferenze degli altri. La morale si concretizza in due virtù: la giustizia e la carità. La giustizia che è un primo freno all'egoismo, ha un carattere negativo, poiché consiste nel non fare il male e nell'essere disposti a riconoscere agli altri ciò che siamo pronti a riconoscere a noi stessi. La carità si identifica invece come la volontà positiva e attiva di fare del bene al prossimo. Si propone il traguardo di una liberazione totale. Questa è l'ascesi.

L'ascesi

L'ascesi è l'esperienza per la quale l'individuo cessando di volere la vita e il volere stesso, si propone di estirpare il proprio desiderio di esistere, di godere e di volere. Un primo passo è la castità, ma il vero cammino verso la salvezza mette capo al nirvana buddista. Il nirvana è l'esperienza del nulla, un nulla che secondo quanto insegnano i testi e i maestri dell'Oriente non è il niente, bensì un nulla relativo al mondo, cioè una negazione del mondo stesso.


Il Mondo come Volontà e Rappresentazione

È la sua opera principale, pubblicata nel 1818. Il punto di partenza è fornito dalla kantiana distinzione tra Fenomeno - la realtà come ci appare: applicando le nostre forme di conoscenza (sensibilità, intelletto, ragione), possiamo organizzare e classificare, a livello mentale, le immagini che ci circondano; e Noumeno – la “Cosa in sé”, la vera essenza delle cose che vediamo. Non appartiene al soggetto, ma è indipendente dall'uomo: una sorta di Iperuranio, dove le “Idee” degli oggetti vivono eterne e distanti. Schopenhauer modifica leggermente questo concetto, definendo fenomeno l'illusione, la parvenza, separata attraverso il velo di Maya dal Noumeno, la vera realtà che si nasconde e che il filosofo deve scoprire (bisogna ricordare che Kant considerava i fenomeni più o meno veritieri visto che erano legati ad una realtà, anche se inconoscibile). Ancora differentemente da Kant, Schopenhauer parla di fenomeno come rappresentazione che esiste solo dentro la coscienza, e non ne è scissa. All'interno della rappresentazione esistono due elementi inseparabili: il soggetto rappresentante e l'oggetto rappresentato. Essi sono dipendenti l'un dall'altro, e l'uno è causa e conseguenza dell'altro. Sono perciò errati sia il Materialismo (che nega il soggetto, riducendolo all'oggetto), sia l'Idealismo (che nega l'oggetto, riducendolo al soggetto). La rappresentazione, inoltre, si basa su tre forme a priori:

  • Spazio;
  • Tempo;
  • Causalità (le altre 12 categorie individuate da Kant sono, per Schopenhauer, riconducibili ad essa).

Queste forme a priori sono come le sfaccettature di un vetro, attraverso cui la visione delle cose si deforma, ma non le cose stesse. Ne risulta che “la vita è sogno”, una sorta di incantesimo, e per avvalorare la sua teoria, Schopenhauer cita i filosofi Veda, Platone, Pindaro, Sofocle, Shakespeare, Calderón de la Barca. Sulla realtà vera l'uomo, in quanto animale metafisico - e che pertanto si stupisce della propria esistenza - tende a interrogarsi, in diretta proporzione alla sua intelligenza. Schopenhauer afferma che stracciare il velo di Maya, passare da Fenomeno a Noumeno, sia possibile: l'uomo stesso non è solo rappresentazione, ma è anche Cosa in sé (il corpo), cioè noi, non solo ci vediamo dall'esterno, ma viviamo dall'interno. La via per conoscerci come Cosa in sé è lasciarsi vivere,lasciarsi andare e, intuitivamente, sentire in sé la vita. La ragione serve solo per il fenomeno: per passare al Noumeno occorre abbandonare il fenomeno e lasciarsi guidare dall'intuizione. Questa esperienza rende possibile la conoscenza dell'essenza profonda del nostro Io, che è Volontà di vivere (Wille zum leben). Questa volontà è l'impulso alla sopravvivenza, quella spinta irresistibile che ci fa esistere: noi siamo, dunque, vita e Volontà di vivere, e il nostro corpo è la manifestazione esteriore dei nostri desideri interiori: l'apparato digerente, ad esempio, è la manifestazione fenomenica della volontà di nutrirsi. Il mondo è, dunque, volontà e rappresentazione. La Volontà di vivere è:

  • inconscia, infatti è più un impulso, è un'energia piuttosto che volontà cosciente;
  • unica, perché stando al di fuori dello spazio e del tempo si sottrae al principium individuationis;
  • eterna, cioè senza principio né fine perché al di là del tempo;
  • incausata, perché oltre la categoria di causa;
  • senza scopo oltre sé stessa.

Essa inoltre appartiene a tutti gli esseri viventi, ma solo l'uomo può averne consapevolezza. Dio è stato creato dagli uomini per “mascherare” la crudele verità sul mondo: la vita non ha senso, non esiste un fine, né un destino; tutti gli esseri viventi, siano essi vegetali o animali, non vivono con altro scopo che vivere e proseguire la specie. Tutto il mondo è investito dalla sofferenza: volere significa essere mancanti di qualcosa, perciò essere in uno stato di tensione. Quando un desiderio viene appagato sopraggiunge la noia, e il ciclo ricomincia, perché per ogni brama sedata ne scaturiscono altre; il piacere inoltre, non è che temporanea e fugace cessazione di dolore, dunque funzionale e dipendente da esso. Non può verificarsi il caso contrario perché un individuo può sperimentare una serie di dolori senza essere preceduti da piaceri, invece ogni piacere nasce alla fine di un particolare dolore. La vita è un pendolo che oscilla tra il dolore e la noia. La legge che regola il mondo è quella del più forte: la lotta per la sopravvivenza spinge a crudeltà ed egoismi: il male, infatti, non appartiene al mondo, ma è il Principio che lo porta avanti. In questa prospettiva, ogni potere, ogni prerogativa è sottratta all'uomo: il libero arbitrio, l'esistenza (e la sopravvivenza post-mortem) dell'anima, l'amore.

La concezione dell'amore

L'amore rappresenta nella filosofia schopenhaueriana lo stimolo più forte dell'esistenza: dietro a Cupido si cela il Genio della specie, che desidera la perpetuazione della vita: l'amore è un potente mezzo usato dalla Natura ai fini dell'accoppiamento. L'incanto e il lato romantico sono maschere costruite dall'uomo per celare questa dura e triste verità: il desiderio sessuale è il motore dell'innamoramento, nient'altro.

Il rifiuto degli ottimismi

Ogni forma di ottimismo è in questa ottica falsa e illusoria:

  • Cosmico (Hegel): vedere nel mondo la perfezione di una sistema, l'organizzazione provvidenziale di un qualsivoglia Dio, Spirito, Sostanza o Ragione, è un'illusione consolatoria; le religioni sono “metafisiche per il popolo”, o, come disse Marx, “l'oppio dei popoli”.
  • Sociale (Rousseau): l'uomo non è buono per natura, e non sono state le leggi imposte dalla società a corromperlo; homo homini lupus, l'unica regola universale è questa, i rapporti umani sono sempre conflittuali perché mossi dal desiderio di sopraffazione reciproca. Riprendendo Hobbes, Schopenhauer afferma che se gli uomini vivono insieme in società è solo per convenienza.
  • Storico : la storia ci insegna solo che l'uomo è sempre uguale, non che egli muterà; la vita è segnata dal ciclo nascita-sofferenza-morte, non esiste alcun destino, né alcuna missione.

Le vie di liberazione dal dolore

Inizialmente, Schopenhauer prende in esame il suicidio. In posizione anti-stoica, il filosofo condanna questa pratica, perché non nega, ma afferma la volontà, negando piuttosto la vita. Inoltre, attraverso il suicidio viene soppressa unicamente la manifestazione fenomenica della Volontà di vivere, mentre la Cosa in sé continua ad esistere. La prima tappa, secondo Schopenhauer, è l'arte: conoscenza libera e disinteressata delle Idee, essa prende in considerazione le Essenze, non le forme;in particolare, la musica, non avendo contenuto rappresentativo, è immediata e catartica. L'arte non può, però, essere la soluzione finale o perché riguarda pochi ed è temporanea. La seconda tappa è la pietà: dall'esperienza vissuta, l'uomo deve riuscire a superare l'egoismo avvertendo come proprie le sofferenze altrui. In particolare, Schopenhauer pone enfasi su due tipi di pietà: la giustizia (in quanto volontà positiva e attiva di fare del bene al prossimo) e la carità (amore disinteressato), ma la vittoria non è ancora totale. L'ultima tappa è l'ascesi (ossia la cessazione di qualsiasi tipo di esistenza,voglia o godimento), scandita a sua volta in tre punti:

  • Mortificazione di sé (non cercare il piacere);
  • Castità (non perpetuare il dolore);
  • Inedia (lasciarsi morire di fame).

Questa è la vera soluzione: l'estenuazione dell'organismo, che apre al Nirvana, un abbandono totale della ragione, un'esperienza del Nulla. Per negare la Volontà di vivere, l'uomo deve innalzare la Noluntas a sistema di vita, tentando di ignorare e disprezzare i motivi che il suo intelletto - schiavo della Volontà - gli fornisce.

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